Dieci parole poi taci – Riflessione

La lingua più parlata nel mondo è “a vanvera”.
Miliardi di parole, ogni giorno, ci investono, ci trafiggono, ci soffocano.
Saper parlare è un gran dono.
Perché l’uomo non dica troppi spropositi Dio gli ha donato dieci dita perché possa ricordare i suoi saggi consigli:
“Che la tua prima parola sia buona…
Che la tua seconda parola sia vera…
Che la tua terza parola sia giusta…
Che la tua quarta parola sia generosa…
Che la tua quinta parola sia coraggiosa…
Che la tua sesta parola sia tenera…
Che la tua settima parola sia consolante…
Che la tua ottava parola sia accogliente…
Che la tua nona parola sia rispettosa…
E la tua decima parola sia saggia.
Poi… taci…”

Riflessione sul testo:

Il testo “Dieci parole poi taci” ci invita a riflettere sul potere e sulla responsabilità del linguaggio, un tema universale e senza tempo che attraversa filosofia, religione, psicologia e letteratura. Viviamo immersi in un mondo dove le parole abbondano, spesso vuote, impulsive o superficiali. Miliardi di messaggi, conversazioni, post, notifiche ci sommergono quotidianamente, generando talvolta confusione, ansia e frustrazione. La frase iniziale, “La lingua più parlata nel mondo è ‘a vanvera’”, colpisce perché sintetizza un fenomeno che tutti sperimentiamo: la parola pronunciata senza pensiero o senza cuore, un suono privo di sostanza che occupa spazio ma non lascia traccia positiva.

L’autore ci ricorda che saper parlare è un dono. È un dono non solo perché comunica pensieri, emozioni e conoscenza, ma soprattutto perché riflette la nostra coscienza e la nostra capacità di discernimento. La parola è ponte e barriera, consolazione e ferita, manifestazione di saggezza o di superficialità. In molte tradizioni spirituali e filosofiche, il silenzio è considerato un segno di saggezza, e il parlare eccessivo, o privo di riflessione, è spesso visto come un ostacolo alla crescita interiore.

L’immagine delle dieci dita diventa simbolica. Ogni dito rappresenta una parola specifica, un’unità di pensiero e di azione linguistica. Non si tratta di un limite aritmetico: non è che possiamo pronunciare solo dieci parole nella vita, ma dieci parole simboliche che racchiudono l’essenza di un linguaggio etico e consapevole. Questo invito alla parola pensata e virtuosa è antitetico alla banalità della comunicazione moderna, dove spesso contano più la velocità e il numero di parole che il loro peso, il loro significato.

Ogni parola suggerita ha una qualità precisa:

  1. Buona: La prima parola deve essere benefica. Non solo evitare danno, ma attivamente generare positività. In filosofia morale, questo si collega all’etica della benevolenza, al principio di non nuocere e, meglio ancora, di contribuire al bene altrui. La parola buona costruisce fiducia, crea legami, disarma l’ostilità.
  2. Vera: La seconda parola è la verità. La comunicazione autentica è essenziale per la vita sociale e personale. La menzogna indebolisce i rapporti, mina la fiducia, corrode l’anima. La verità, anche se talvolta dolorosa, è fondamento della libertà e della responsabilità.
  3. Giusta: La giustizia nel parlare implica equità, equilibrio, rispetto per il contesto e per l’altro. Non è solo una questione morale, ma anche sociale: una parola giusta cerca armonia e evita ingiustizie verbali.
  4. Generosa: Generosità nel linguaggio significa condividere, sostenere, donare energie positive attraverso le parole. Significa arricchire gli altri di comprensione, incoraggiamento e saggezza.
  5. Coraggiosa: Il coraggio della parola implica affrontare la verità, difendere valori, dire ciò che è giusto anche a rischio di opposizione o critica. Parlare con coraggio è un atto di integrità e responsabilità.
  6. Tenera: La tenerezza è la qualità della parola che accarezza, consola, nutre l’anima. È un antidoto alla durezza del mondo, un gesto di cura e compassione.
  7. Consolante: Collegata alla precedente, questa parola mira a lenire il dolore, offrire rifugio emotivo, dare speranza. La parola consolante è un ponte tra la sofferenza individuale e la comprensione universale.
  8. Accogliente: L’accoglienza nella parola significa apertura, ascolto, inclusione. Significa creare uno spazio dove l’altro si senta visto, riconosciuto e rispettato.
  9. Rispettosa: Il rispetto è un principio fondamentale in tutte le relazioni umane. La parola rispettosa non offende, non svaluta, riconosce la dignità dell’altro.
  10. Saggia: Infine, la parola saggia sintetizza tutte le altre: è matura, ponderata, equilibrata, fondata sulla conoscenza della vita, sulla comprensione degli altri e sulla consapevolezza dei propri limiti.

Dopo queste dieci parole, il silenzio diventa necessario. Il silenzio non è assenza, ma presenza ponderata. È spazio di riflessione, di ascolto, di maturazione interiore. È ciò che trasforma la parola in azione, perché pronunciare senza riflettere rischia di dissipare energia e significato. In molte tradizioni, dal buddhismo al cristianesimo, dall’induismo alla filosofia greca, il silenzio è considerato la vera scuola della saggezza. Solo chi sa tacere sa davvero parlare.

Questa pratica di parlare poco ma con qualità ha implicazioni profonde. Nel contesto contemporaneo, caratterizzato da comunicazione immediata, social media, notifiche continue, la nostra attenzione e capacità di riflettere sono costantemente sollecitate. Siamo spinti a reagire istantaneamente, a condividere opinioni non meditate, a giudicare con superficialità. La regola delle dieci parole ci riporta all’essenzialità: scegliere, ponderare, selezionare. Non ogni pensiero ha bisogno di diventare parola. Non ogni impulso emotivo deve tradursi in messaggio.

Inoltre, la struttura delle dieci parole evidenzia l’intenzione morale del linguaggio. Ogni parola ha un valore etico, non è neutra. Le parole buone, vere, giuste e generose contribuiscono a costruire un mondo migliore, mentre quelle vuote, false, ingiuste o aggressive generano danno, divisione, sofferenza. Parlare con consapevolezza diventa quindi un atto di responsabilità sociale oltre che personale.

Possiamo inoltre leggere queste parole in chiave psicologica. La parola buona e vera favorisce la comunicazione autentica e il senso di sé. La parola giusta, generosa e coraggiosa rafforza l’autostima e l’integrità morale. La parola tenera, consolante e accogliente sviluppa empatia e intelligenza emotiva. La parola rispettosa e saggia insegna autocontrollo, discernimento e pazienza. La pratica di queste qualità linguistiche diventa un percorso di crescita personale, un allenamento quotidiano alla virtù, alla consapevolezza e alla capacità di relazione positiva.

Il testo invita anche alla riflessione sul tempo: in un mondo dove tutto è veloce e frenetico, fermarsi a scegliere parole ponderate significa prendersi il tempo necessario per la comprensione, per l’ascolto e per la costruzione di relazioni profonde. Non è casuale che le dita siano dieci: richiamano un conteggio, un ritmo, una misura. Non si tratta di parlare di più o di meno, ma di misurare la qualità e l’impatto di ciò che diciamo.

In senso più ampio, questo insegnamento si collega alla dimensione spirituale dell’esistenza. Parlare con saggezza e poi tacere è un invito a unire azione e contemplazione, parola e silenzio, esterno e interno. L’equilibrio tra espressione e riflessione è essenziale per una vita piena e consapevole. Il silenzio non è vuoto: è fertile, nutre pensieri, emozioni e intuizioni.

Infine, il testo ci invita a considerare l’interazione tra linguaggio e potere. Le parole modellano la realtà: possono creare conflitto o armonia, divisione o unità. La responsabilità di chi parla è enorme. Non è solo questione di educazione o cortesia, ma di etica, di capacità di influenzare il mondo in maniera positiva. La scelta di dieci parole significative e poi il silenzio è un invito a usare il potere della parola con attenzione, coscienza e rispetto.

In conclusione, “Dieci parole poi taci” non è solo un testo poetico o morale: è una guida alla consapevolezza, un invito alla riflessione sulla qualità della comunicazione, un manifesto per il valore della parola ponderata e del silenzio. È un promemoria che, nonostante l’abbondanza di parole nel mondo moderno, la vera saggezza risiede nella capacità di parlare con cuore, mente e coscienza, scegliendo ciò che edificante, autentico e buono, e poi fermandosi ad ascoltare, riflettere e interiorizzare. La pratica di queste dieci parole diventa quindi non solo un esercizio linguistico, ma un vero e proprio percorso di vita, un cammino verso la maturità emotiva, morale e spirituale.

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